
Il lookbook personale, una nuova forma di narrazione stilistica
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Nel momento in cui le immagini si susseguono a una velocità vertiginosa sui nostri schermi, dove gli outfit del giorno si dissolvono nel flusso continuo delle storie, una domanda persiste: cosa rimane del nostro stile una volta superato il filtro? Di fronte a questa obsolescenza programmata dell’estetica, il lookbook personale si impone come una risposta lenta e controllata. Non è solo un’archivio, né un semplice progetto di vanità, ma diventa un manifesto visivo intimo — la memoria stilizzata di un’epoca e di un’identità.
- 1. Ridare senso all’immagine: dallo scroll all’archivio
- 2. Il lookbook come specchio estetico
- 3. Pensare il proprio lookbook: strutturare, raccontare, rivelare
- 4. Scelta del supporto: estetica editoriale e sostenibilità
- 5. Tendenze da catturare: il 2025 in immagini
- 6. Dallo stile al patrimonio personale
Ridare senso all’immagine: dallo scroll all’archivio
Lo scroll è diventato un riflesso. Consumiamo l’immagine come si consumerebbe uno snack, rapidamente, senza fermarsi. Eppure, in questo paesaggio saturo, emerge un bisogno di distanza. Il lookbook personale offre questo respiro: trasforma una successione di outfit in un racconto coerente. Non si pubblica più per piacere nell’immediato, ma per costruire una traccia. È un modo per riprendere possesso della propria immagine, al di fuori degli algoritmi.

Il lookbook come specchio estetico
Creare un lookbook significa anche guardarsi in un altro modo. Non si tratta più solo di comporre una silhouette lusinghiera, ma di osservare cosa questa silhouette racconta di noi. Florence Pugh, con i suoi abiti nude dalla fluidità evidente, o Zendaya, oscillando tra tailoring architettonico e sensualità disinvolta, sono esempi di artisti che trasformano ogni apparizione in un’affermazione stilistica. Il lookbook diventa così uno specchio — non quello del narcisismo, ma quello del gusto coltivato e affermato.
Pensare il proprio lookbook: strutturare, raccontare, rivelare
Come un creatore penserebbe a una collezione, si struttura il proprio lookbook attorno a un racconto. L’anno può essere suddiviso per stagioni o per stati d’animo: un’estate segnata dal bohemien alleggerito, un autunno di sovrapposizioni assumibili. La logica non è lineare, ma sensoriale. Aggiungere didascalie, aneddoti, emozioni del momento dà profondità all’immagine. Lontano dal feed standardizzato, è qui la singolarità a contare.
Scelta del supporto: estetica editoriale e sostenibilità
Un lookbook personale non merita niente di meno che la qualità di un bel libro. Formato quadrato ispirato a riviste specializzate, carte di creazione, texture opache o vellutate… I dettagli contano. Alcuni laboratori di editoria offrono finiture degne delle più belle pubblicazioni. Creare un vero libro fotografico diventa quindi un’estensione del proprio stile, fino nella materialità dell’oggetto. Copertina in tessuto, rilegatura cucita, stampa fine: la forma qui si unisce completamente al contenuto.
Tendenze da catturare: il 2025 in immagini
Quest’anno, diverse estetiche segnano gli animi. Il bohemien reinventato – abiti lunghi patinati, ricami discreti – trova le sue icone da Etro e Isabel Marant. Il lusso discreto, celebrato da Polène o DeMellier, valorizza il lavoro artigianale piuttosto che l’ostentazione. Infine, le sovrapposizioni grafiche, viste da Miu Miu o Acne Studios, raccontano una gioventù che compone il proprio stile a strati. Queste tendenze non devono essere consumate: devono essere documentate, digerite, fatte proprie.

Dallo stile al patrimonio personale
Un lookbook ben pensato non cattura solo una silhouette, ma un’epoca, uno sguardo, una visione del mondo. Diventa un patrimonio visivo, trasmesso a se stessi nel tempo o agli altri nell’eredità. È una pratica che invita a consumare meno ma meglio, a guardare in modo diverso, ad acquistare con coscienza. Le creatrici impegnate come Gabriela Hearst o Marine Serre lo hanno ben compreso: l’abito può essere tanto un manifesto quanto uno strumento di trasformazione. Il lookbook personale, in questo contesto, si impone come uno spazio di riflessione e creazione.